Quant'è importante la paura


Quant'è importante la paura.
Ieri siamo andati a fare la camminata meditativa... una camminata di 10 km in tutto, da stazione a stazione. Una giornata stupenda, tutti i partecipanti sono stati entusiasti.
Durante la giornata abbiamo fatto un laboratorio sulla gioia è stato un momento di rilassamento e di scoperta su se stessi.
Prima di questo, avevo pianificato che oggi sarei andata a testare il sentiero che voglio proporre nella camminata di 2 giorni.
Un sentiero molto bello, che collega i piani di Artavaggio ai Piani di Bobbio nella zona del lecchese, facile da raggiungere anche in giornata con l'aiuto delle funivie. Non lo avevo mai fatto prima.
Ieri sera pensavo al percorso che mi aspettava oggi, ai chilometri e al dislivello. Non lo avevo mai fatto, avevo le ore contate ed ero da sola. Non posso negare che avevo proprio paura!

Avevo paura, perché il sentiero comunque sarebbe stato molto lungo, il dislivello decisamente sostenuto. Da tanto tempo non intraprendevo un percorso di questo tipo, quindi non sapevo che cosa aspettarmi dal mio corpo.
Stamattina quando sono partita, sapendo che la prima tappa per arrivare ai piani di Artavaggio sarebbe stata molto dura, ho centellinato le forze, ma, a mano a mano, che andava avanti ho fatto scoperte sorprendenti: la valle che stavo attraversando era stupenda, la flora era ricca di colori, erbe e fiori sbucavano da ogni sasso, su ogni albero e vicino ad ogni cespuglio c'era il canto di uccello diverso.
Così mi sono, piano piano, rilassata. Ho pensato che, in fondo, le forze c'erano. Sentivo che le stavo distribuendo bene e sono arrivata in prossimità della cima con grande entusiasmo.
Però, quando ormai iniziavo a vedere il rifugio, sono stata accolta da ventate fredde e lugubri nuvole nere, che portavano promesse degne di una strega cattiva.
Eccomi di nuovo a provare paura!

In fondo ero sola, avrei dovuto ancora percorrere altri 6 km (minimo! per quel che ne sapevo) e, a quella altitudine, 1900 metri circa, il meteo può cambiare in modo inaspettato.
Sicché sono arrivata al rifugio, mi sono rifocillata e ho chiesto informazioni. Ho fatto una breve sosta e ho valutato la situazione: quella dell'ambiente e quella del mio corpo. Attentamente.
Così ho deciso di proseguire. Il sentiero che avrei percorso prometteva di essere molto piacevole, abbastanza protetto e senza troppa dislivello.
Mi sono, perciò, messa in cammino in mezzo ai fischi delle marmotte e al suono del vento sulle rocce della cima della montagna. Un panorama impagabile si è aperto davanti ai miei occhi. Nella completa solitudine, a questa altitudine, con il cielo che si spalanca di fronte a te, la libertà che si prova è una sensazione incredibile.
Mi sono abbandonata a piacevoli fantasticherie. Pensavo quanto sarebbe stato bello condividere le mie riflessioni con i futuri partecipanti e aiutarli a trarre il massimo da questa esperienza... ma poi il paesaggio è di nuovo cambiato. E io ho provato di nuovo paura!

Da un lato si apriva il canalone scosceso della valle, mentre d'altro lato rocce aguzze sulle cime delle montagne erano abbracciate dalle nuvole scure, che sembravano galoppare nella mia direzione.
Stavo ormai camminando da diversi chilometri, ma ancora mi attendeva un bel pezzo del percorso. I fischi delle marmotte non erano più di compagnia, ma sembravano veramente allarmi per il mio cervello. Allora mi sono fermata a riposare. Ho lasciato che il corpo scaricasse un po' del lavoro fatto per condurmi fino a quel punto. Ho atteso pacificamente che tutto il mio organismo tornasse neutro, fin quando ho potuto di nuovo godere dell'ambiente attorno a me e sentire che la solitudine non era mia nemica. Soltanto quando ogni segnale di paura dentro di me si fosse spento, avrei ripreso il cammino. Perché è così che funziona la paura.

La paura fa parte della vita. È un segnale molto forte e importante che qualcosa nel nostro organismo non è più in equilibrio tra interno ed esterno. C'è sempre una disparità tra le risorse che abbiamo in noi e le richieste dell'ambiente ed è molto importante conoscersi, per sapere  qual è il nostro margine di tolleranza. La paura ci segnala soltanto che abbiamo superato il nostro limite. Può essere perciò una paura lieve o una paura allarmante, oppure ancora più grande di così, tanto da bloccarci.
È bene imparare a conoscersi, perché la terza opzione, quella più estrema, non sempre è quella valida per fronteggiare le avversità. Anche se è una risposta naturale dell'organismo, la paura immobilizzante non sempre è funzionale alla sopravvivenza.

Infatti stavo proprio scrivendo questo testo, mentre, ormai molto rilassata e riposata, ero seduta sul sentiero. Quando all'improvviso il brontolio di un tuono, ha palesato le intenzioni della montagna.
E io... Ahahhaha!!!... ho avuto di nuovo paura!

Ho impacchettato le mie cose e, con pasto lesto e ben disteso, mi sono affrettata con cautela sul sentiero, accelerando nei punti protetti, correndo dove fosse possibile. E per fortuna che la paura mi ha fatto alzare le chiappe.
Pochi minuti dopo essere giunta al riparo della funivia, lo scroscio di un intenso temporale estivo, preannunciato dal vento, si è abbattuto sull'altopiano.
L'ultimo dei miei desideri era ritrovarmi fradicia fino alle ossa, con le ore che ancora mi separano dal rientro a casa.
Che fortuna! Ah no. Non è stata fortuna. Non soltanto almeno. È stata la paura (sana) e i pensieri ad essa associati.

Perciò, viva la paura e le scelte ben motivate.