La bambina e il Metodo Feldenkrais

Durante un lavoro di accompagnamento all'inserimento scolastico in una scuola materna, ho potuto sperimentare un'esperienza stupenda e gratificante: lavorare con una bimba molto speciale.

Valentina (nome di fantasia) aveva una corporatura già piuttosto grande per la sua età (3 anni), invece il linguaggio tardava a svilupparsi in modo organico. Sicchè anche i primi fonemi più semplici, quando li pronunciava, sembravano sempre venire da un mondo lontano, come fossero l'eco di quello che sarebbero potuti essere.
Altra caratteristica importante, era che non sapeva rimettersi in piedi da sola.
Quindi, se cadeva a terra, diventava dipendente dall'adulto che doveva essere disponibile ad aiutarla a rimettersi in piedi.
E per il resto del tempo, quando camminava, aveva una postura particolarissima, in parte giustificata anche dalla costante paura di cadere a terra. Così, anche camminare su un gioco che tutti gli altri bimbi adoravano, un piccolo piano inclinato e ondulato, era un'esperienza non da poco e tutt'altro che gioiosa.
Non era stata però segnalata in alcun modo, quindi non aveva un'educatrice di sostegno che l'affiancasse.

Nei tre mesi in cui ho avuto modo di vederla, io e lei abbiamo giocato insieme.
Nello spazio disponibile, in mezzo alla confusione degli altri bimbi, ci siamo ricavate dei momenti nostri, dove io "giocavo" a fare l'insegnante Feldenkrais e lei "ascoltava" tutte quelle nuove informazioni che le arrivavano dal corpo. Il ginocchio, il collegamento con la testa, il movimento del bacino (ooh, sì quello sconosciuto), il collegamento con il piede. Cose che a noi adulti alle volte paiono complesse perchè mediate dal linguaggio anzichè dalle nostre sensazioni, per un bambino sono parole semplici che richiedono risposte semplici.

Non erano lezioni vere e proprie, però, alla fine dei tre mesi, proprio poco prima che ci salutassimo per l'ultima volta, è capitato un episodio molto interessante, che credo racconti il significato che tutto questo ha avuto per Valentina.

Era un bel pomeriggio e si stava giocando a girotondo tutti quanti.
Girotondo.. tutti giù per terra.
Ma a Valentina, quel tutti giu per terra, non generava emozioni felici e spensierate, bensì ricche di preoccupazioni. Eppure qualcosa ha cominciato a collegarsi. Una prova, poi un'altra. Le ginocchia che si piegano appena e poi tornano a stendersi. Osservare se stessa e gli altri.
Il gioco finisce, ma non la sua ricerca.
Così, mentre gli altri cominciano a cantare canzoncine, lei continua l'esperimento, a fianco a me, che fingevo di non guardarla.
Una volta, un'altra volta, giù fino a terra e poi la ricerca di una strada per ritornare in piedi.
Dove vanno le mani, dove vanno i piedi, dove va la testa..... e oplà!
Eureka.
Mi tira la manica: "vienivieni" sembra dirmi.
Andiamo nell'altra stanza e lì -chissà come faceva a saperlo lei- troviamo il gioco di qualche mese prima, ormai passato di moda per gli altri.
Adesso sì che si poteva camminare anche su delle superfici complesse come quelle, con cautela certo, ma con meno apprensione, con più curiosità e con un bel sorrisone a ogni passo.
Il meccanismo ormai si era messo in moto!

Io e Valentina ci siamo riviste un anno dopo. Comincia a dire le sue prime parole e a collegarle a significati più precisi. Gioca con gli altri bimbi, anche se ancora preferisce il gioco individuale o con l'adulto che l'accompagna. Il suo modo di camminare porta ancora le tracce di quello che è successo, ma le sue spalle non sono più "attaccate alle orecchie" e le piace saltare. Mi dicono anche che presto comincerà logopedia.
Guardarla mi riempe di tenerezza.

E allora forza, Valentina! Che la vita è tutta da esplorare.